16.
Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
Qui me ex versiculis meis putastis,
Quod sunt molliculi, parum pudicum.
Nam castum esse decet pium poetam
Ipsum, versiculos nihil necesse est,
Qui tum denique habent salem ac leporem,
Si sunt molliculi ac parum pudici
Et quod pruriat incitare possunt,
Non dico puteris, sed his pilosis
Qui duros nequeunt movere lumbos.
Vos, quei milia multa basiorum
Legistis, male me marem putatis?
Pedicabo ego vos et irrumabo.
Catullo, I Canti, BUR
Traduzione di Enzo Mandruzzato
16.
Io a voi ve lo metto in culo e in bocca
Aurelio frocio e Furio pederasta
Voi che avete dedotto dai miei versi
Niente austeri che sono niente casto.
Il sacro vate deve essere onesto,
senza obbligo che i versi anche lo siano.
I quali hanno poi spirito e gusto
Sebbene niente austeri e mal pudichi
E in grado di eccitare le prurigini
Non dico ai ragazzini ma ai pelosi
Ormai incapaci di ondeggiare i fianchi.
Voi, perché scrivo di baci a migliaia,
non mi credete maschio in senso pieno?
Ma io a voi lo metto in culo e in bocca.
Vogliamo fare del paternalismo come usa nelle scuole secondarie superiori e censurare assolutamente il turpiloquio o vogliamo accettarlo, oltre che come ausilio funzionale nel discorso, anche nel modo in cui la storia della letteratura lo considera, ciòè manifestazione artistica e poesia. Io consiglierei i minorenni dell’anima e della psiche di considerare questo post in fascia protetta e so che non serve consigliare alle persone adulte di utilizzare il turpiloquio con la giusta moderazione evitando di farne un uso superfluo e improduttivo.
Sorprende sempre come parole che magari in un primo tempo non si riescono a decifrare denotino contenuti ben chiari e riconoscibili in ogni età, e non hanno bisogno di commenti, e come certi contenuti abbiano il valore ancestrale degli abissi dell’umanità.